Riflessioni su ‘Taranto e dintorni’

La situazione sanitaria mondiale è sotto gli occhi di tutt*, affrontiamo un fantomatico nemico invisibile che attraverso il terrore instillato nella masse, dai mass-media asserviti ha permesso ai poteri governativi di sperimentare pratiche di controllo di massa che altrimenti sarebbero state difficilmente motivabili. Lungi da noi essere marchiati di negazionismo, riteniamo però fondamentale approfondire mediante contro-inchieste la reale portata del covid e di quello che è il suo effetto sanitario, perché il suo effetto sociale è chiaro ed evidente a tutt*. È infatti evidente che la quarantena è stato un utile strumento per testare l’obbedienza delle popolazioni e stimolare atteggiamenti delatori diffusi ovunque. Lo stimolo alla delazione è stato utile per legittimare agli occhi delle masse l’acuirsi di uno Stato repressivo che senza problemi ha portato nelle nostre strade oltre alle classiche forze repressive dello Stato, anche i militari. Uno sguardo più attento alle dinamiche innescate dalla quarantena e dal coprifuoco ci permettono di osservare in maniera più chiara il ventaglio di strumenti con cui le logiche del potere e del profitto armano gli Stati.

Sarebbe interessante infatti attivare contro-inchieste che ci permettano di comprendere se il motivo degli innumerevoli e apparentemente infiniti DPCM servono per affinare la macchina del controllo sociale o se servono effettivamente a tutelare la salute de* cittadin*. Per comprendere meglio la matrice originaria alla base delle scelte di Stato sarebbe utile discernere il tasso di mortalità provocato dal covid direttamente da quello provocato indirettamente. Sappiamo infatti che le statistiche sulla mortalità e la nocività di questo virus sono rinfoltite da numeri che prevedono sia morti diretti che indiretti. Non ci riferiamo solo alla difficoltà di riconoscere la causa della morte per la quasi totalità dei morti che sono in ‘regime di comorbosità’, ma soprattutto quelli dovuti alla blindatura degli ospedali e al rinvio a tempo indeterminato delle terapie e delle ospedalizzazioni dovute ad altre patologie diverse dal covid.

La comorbosità presente nella quasi totalità dei deceduti è comunque un elemento fondamentale, tanto da portare Horton su ‘TheLancet’ (una delle riviste mediche più importanti del mondo con sede in GranBretagna) a parlare non di pandemia, ma di sindemia.

A differenza della pandemia, che indica il diffondersi di un agente infettivo in grado di colpire più o meno indistintamente il corpo umano con la stessa rapidità e gravità ovunque, la sindemia implica una relazione tra più malattie e condizioni ambientali e socio-economiche. L’interagire tra queste patologie e situazioni rafforza e aggrava ciascuna di esse. Questo nuovo approccio alla salute pubblica è stato elaborato da Merril Singer nel 1990.

Sindemia è quindi l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di due o più malattie trasmissibili e non trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata.

Secondo Singer e Mendenhall (2017) un approccio sindemico rivela interazioni biologiche e sociali importanti per la prognosi, il trattamento e la politica sanitaria.

Un approccio sindemico ai numeri rivelati da una possibile contro-inchiesta ci permetterebbe di caratterizzare il livello locale di comorbosità indipendente dal covid, ma dipendente dallo stato ambientale sociale ed economico del territorio.

In una contro-inchiesta non risulterebbe neanche irrispettoso controllare, se si può, quanti a parità di comorbosità l’anno scorso morivano di influenza e quanti ne muoiono quest’anno di coronavirus.

Sempre a livello di contro-inchiesta probabilmente risulterebbe estremamente interessante anche analizzare altri morti indiretti da coronavirus, sempre però legati al livello socio-culturale presente sul territorio, e alla cultura dominate machista e maschilista. Ci riferiamo agli episodi di violenza domestica prodotta soprattutto nella quarantena (+30% violenza domestica, 21 su 26 femminicidi commessi dal convivente solo durante la quarantena). Questi sono numeri che nella contro-inchiesta vanno attribuiti alle politiche sviluppate in quarantena e vanno sottratti al numero reale di morti di covid, così come vanno sottratti i morti per malasanità, blindatura degli ospedali, dirottamento di tutte le risorse sulla ‘guerra al virus’, e vanno inoltre sottratti tutti i suicidi e le morti e le patologie legate alla crisi esistenziale che queste politiche hanno prodotto. La paura del domani, gli stati di ansia e le depressioni prodotte in questo periodo, non derivano dal virus, ma dalla percezione che del virus ci hanno dato attraverso le politiche attuate. Solo così sapremo quanto peso hanno le politiche ‘anticovid’ governative rispetto alla salvaguardia della salute e potremo confrontarlo con la diminuzione di diritti vertiginosa che in questi mesi abbiamo subito.

Abbiamo perso il diritto allo studio, l’abbiamo travestito di virtuale per lasciare che scompaia dietro uno schermo, per renderci sempre meno critici e sempre più pronti ad accettare l’isolamento che queste politiche promuovono. Abbiamo perso il diritto al reddito e milioni di posti di lavoro per portare l’economia verso le multinazionali della consegna a domicilio, rendendo sempre più disponibili alla schiavitù i disperati alla ricerca di un reddito in una cornice di mancanza di prospettive assoluta.

Abbiamo perso il diritto di fare una passeggiata la sera col cane.

Abbiamo perso il diritto di scegliere e dobbiamo obbedire a regole che dimostrerebbero la nostra incapacità di rivendicare responsabilmente una salvaguardia della salute non solo dal coronavirus, ma da un modello produttivo che distrugge e avvelena le nostre terre.

Il dramma sociale descritto in pochissime righe in questo testo è sul piatto della bilancia in attesa di numeri derivanti da una contro-inchiesta sulla sanità.

Se vogliamo adottare un approccio sindemico allora dobbiamo considerare tutte le differenze con cui vengono promulgate queste politiche, dobbiamo guardare da una parte il livello d’esposizione al contagio dei sacrificabili (ad esempio gli operai Ex-Ilva, i detenuti, gli operatori sanitari, ecc..), dall’altra il livello d’esposizione dei pochissimi che sarebbero stati fuori per strada, dopo le 22 se non ci fosse il coprifuoco.

Le caratteristiche descritte a livello macro nella parte precedente danno ancora più importanza allo sviluppo locale di una contro-inchiesta sulla sanità, soprattutto alla luce di quella che è la situazione tarantina. Qui l’assenza di una prospettiva per le generazioni più giovani, le crisi esistenziali, le depressioni diffuse, il lavoro iperprecarizzato, l’assenza di reddito esistevano ben prima della pandemia e hanno sempre alimentato precarietà, microcriminalità, repressione ed emigrazione. Qui la malasanità è la quotidianità da sempre e le speculazioni che porteranno all’ospedale San Cataldo non promettono affatto un cambiamento di tendenza, anzi…

Qui la necessità di uscire dalle dinamiche di precarizzazione, che il sistema ha bisogno di creare per abbassare il costo del lavoro e consolidare il controllo, è un’esigenza conclamata e condivisa. Ma proprio per quello che potrebbe prospettarsi in una ipotetica società post-covid, ma non post-pandemiE, è ancora più urgente concretizzare uno sviluppo di comunità basato sull’autodeterminazione e la condivisione delle competenze e conoscenze per riprenderci il nostro presente e futuro, che immaginiamo di egualianza e solidarietà, di ecosostenibilità, di reale libertà di scelta e crescita collettiva e individuale. Se dovessimo guardare a quello che servirebbe costruire per vivere una vita migliore, immagineremmo una città e un territorio in fermento. Non dobbiamo aspettare percorsi istituzionali in un momento in cui le istituzioni ti tacciano pubblicamente di irresponsabilità, i nostri diritti vanno rivendicati e riconquistati nelle piazze e nelle strade nella quotidianità.

Questo fornirebbe agibilità politica e la giusta cornice, per la legittimazione di un organismo di controllo e intervento popolare, sempre più indispensabile, come condiviso da varie realtà.

Un’inchiesta sulla sanità tarantina, secondo noi, potrebbe motivare ancora di più la costruzione di auto-reddito dal basso e di comunità autodeterminate.

Nel clima repressivo e discriminatorio che si sta creando soprattutto in questo momento, in cui alcuni virologi si schierano apertamente contro la somministrazione del vaccino, nei nostri aggregati non possiamo non inserire apertamente elementi antifascisti, antisessisti, antiomofobi, antirazzisti, antixenofobi e quindi anticapitalisti. Perché una comunità autodeterminata deve essere capace di costruire sulle differenze e non deve cadere nella trappola isolazionista che si sta innescando.

Potremmo trarre spunto dalle proposte politiche e dalle pratiche che si stanno diffondendo un po’ in tutto il mondo. Pratiche di autoproduzione, autogestione e autosostentamento diffuse, che tutelano la ricchezza e diversità dei territori. Territori fin troppo spesso oggetto, defraudato, delle politiche scellerate capitalistiche, che con le loro attività sequestrano, devastano e saccheggiano l’ambiente, creando i presupposti per scompensi ambientali e favorendo l’evoluzione e la diffusione di nuovi virus. Autodeterminazione è anche rivendicare la sovranità alimentare.

Vogliamo costruire, con l’aiuto di tutt*, una comunità ribelle capace di immaginare una Taranto post-Ilva, lontana dalle logiche che fino ad oggi l’hanno soggiogata. Una Taranto che mette, non solo la salute, ma la dignità di ogni persona come cardine e pietra miliare di un sistema produttivo funzionale allo sviluppo di una comunità autodeterminata.

Costruiamo una vetrina per tutte quelle realtà collettive e individuali produttive, che hanno scommesso sul territorio e che insistono sul costruire un’altra Taranto possibile. Portiamo in strada l’alternativa alla ‘vocazione’ industriale!