TARANTO: LA PANDEMIA PERENNE

Nelle giornate di carnevale è tradizione, tramite l’arte delle maschere, irridere il potere costituito mostrando tutte le contraddizioni e le ipocrisie delle politiche intraprese.

Mai come quest anno, il carnevale ci è sembrato il momento idoneo per ribadire che la salute di Taranto è stata sempre messa all’ultimo posto da qualunque amministrazione: locale, regionale, nazionale o trans-nazionale.

In questi due anni abbiamo visto la politica dei palazzi rincorrere la gravosa situazione sanitaria a suon di DPCM sempre più repressivi e divisivi, sempre meno utili ad arginare davvero il fenomeno.

Ma, al di là della nostra opinione sulle politiche di gestione dell’emergenza, siamo convinti che chiunque viva questo territorio si sia chiest* almeno una volta dove fosse tutta questa attenzione alla salute della popolazione tarantina.

Dove è stata, e dove ancora è, tutta questa attenzione, quando la diossina entra nel latte materno, quando l’ inquinamento delle industrie pesanti e della Marina Militare condanna la nostra città a malattie genotipiche, quando i nostri infanti di 7 anni e anche meno si ammalano di tumore come fossero fumatori incalliti?

Dove è la coerenza quando si continuano a condannare interi settori economici c.d. “non produttivi” al collasso per il virus invisibile del capitalismo, mentre le morti oggettive e documentate di questa città spingono al massimo il Clini di turno, a dire che suo nipote non l’avrebbe mai fatto crescere qui?

E ancora, dov’è questa coerenza quando gli spazi anche di socialità ci vengono sottratti dall’inquinamento? Dove è quando ai Tamburi nei maledettissimi Wind days viene proibito anche solo di passeggiare nei parchi o andare a scuola?

Con questo carro, con un’allegoria abbastanza evidente, vogliamo entrare nella contraddizione totale che c’è stata, e ancora persiste, tra la gestione dell’ emergenza pandemica e la gestione della quotidianità negata ai Tarantini.

Abbiamo scelto una bambina e non l’abbiamo fatto a caso.

Per noi la rivoluzione serve, è quanto mai indispensabile. E o sarà femminista, o non sarà.

Abbiamo scelto una bambina che nel nostro immaginario sovrasta completamente lo stabilimento perché le future generazioni si assumeranno il compito di tappare quelle ciminiere e lo faranno in maniera transfemmimista senza fobismi culturali, senza paura e senza ipocrisia.

Noi quel giorno vorremno esserci, e se saremo ancora qui, saremo accanto alle bambine e ai bambini di Taranto; saremo accanto agli/lle adolescenti e a tutt* quell* che sono stanchi di vedersi costretti a fuggire da questa terra perché è stata sacrificata alle logiche del profitto.

Noi quel giorno ci saremo e vi renderemo il conto salatissimo per come ci avete condannato.

Tanto salato quanto il secolo inquinato a cui ci avete relegato.

E sciolgeremo le redini, spezzeremo le catene, alzeremo al cielo i nostri bambini e le nostre bambine e voi, voi che ci governate, voi che ridete con i Riva per le morti di tumore, voi… ecco, voi sperate di non esserci.

Perché è vero, a carnevale ogni scherzo vale, ma in una rivoluzione, non si scherza. Con la vita non si scherza.

Nel frattempo costruiamo insieme le condizioni, affinché, quando il momento sarà propizio… UNA RISATA VI SEPPELLIRÀ!

 

 

 

La vocazione

La Grammella (grammèdde, in dialetto tarantino) è un coltellino che serve per aprire le valve delle cozze. Grammella e cozza sono un simbolo della cultura tarantina, un po meno lo è il limone che comunque cresceva rigoglioso intorno al mar Piccolo. Ma ciò che rappresenta, ancora più, questa città, è il mare con i suoi due mari, isole e isolotti, con i suoi piaceri e dolori, la sua luce e la sua ombra.

Per decenni la città di Taranto è stata definita a ‘vocazione’ industriale. Il Boom economico ormai latitante da alcuni decenni ha lasciato sul terreno speranze, ambizioni, partenze, addii, malattie, sofferenze e sacrifici. La promessa del progresso, del miglioramento delle proprie condizioni riscattandosi col lavoro, l’ascesa sociale ed economica delle nuove famiglie risorte dalle ceneri delle guerre mondiali, lasciano il posto oggi a delusioni, sfruttamento, abbandono e rassegnazione.

L’acciaio ha temprato le anime ma, scalfito, fino alla morte, i corpi.

Decenni di dipendenza di questa città, dalle dinamiche finanziarie dell’impresa siderurgica (statale e poi privata e poi ancora statale) e suo indotto, ha sancito per troppo tempo una saldatura tra questa terra e l’acciaio. Una dipendenza deviata e deviante che ancora paghiamo e che i più giovani continuano a pagare ancora oggi e chissà per quanto. L’industria che tuttx vedevano come la soluzione alla fame, alla mediocrità, alla provincialità, all’ignoranza, ha fatto studiare i figli degli operai ma privandoli dei proprx carx, dei propri genitori, sacrificatx sull’altare del lavoro, a scapito della salute e della vita, purtroppo.

Questa dipendenza condiziona tutt’oggi le scelte dei cittadini, dei lavoratori e degli studenti che emigrano, dei malati che viaggiano al nord per curarsi, di interi nuclei familiari sdradicati dalle loro case ed affetti. Da decenni questa storia va avanti e quanto ancora dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alle vere e reali vocazioni di questa terra!? Per quanto ancora intendiamo subire malattie e morte per pochi spicci?! Per quanto ancora permetteremo ad uno Stato che, con le sue leggi e con un’ostinata politica finanziaria ed economica, depreda e deprava e condanna Taranto a morte!!!

Nei testi storici ci descrivevano il mar Piccolo come un giardino vasto e vario di fiori e frutti, un paradiso che si estendeva al mare, con le sue acque limpide e ricche di pesci e frutti di mare. Nei testi del passato si parla di una città vecchia ricca di vita e socialità, di amore e solidarietà, di cultura e dignità. Ma c’è tanto anche sulla nascita della stazione, dei mutamenti dovuti all’unificazione dell’Italia, dell’arrivo dell’Arsenale Militare, dell’espansione e della cementificazione della città, la nascita del polo siderurgico. Molti sono i testi che riguardano la vita economica e sociale e culturale di Taranto, ma oggi è necessario costruire il nostro immaginario e scrivere la sorti della città!

Lì dove i nostri vecchi slogan ‘Università, Pesca e Turismo’ sono stati fraintesi, abusati e ridotti a mercificazione e sfruttamento del territorio e dei nostri corpi, riportiamo, con rispetto, il nostro sguardo al mare, la vera vocazione di questa terra.

Perchè il mare può darci ancora, se lo vogliamo noi come comunità, ‘pesca, università e turismo sostenibili’.

” Dove andiamo? Sempre a casa. Ma io, come sarei potuto tornare a casa se non per il tramite del mare?”

Salvatore De Rosa

COMITATO CITTA’ VECCHIA