Riflessioni Oltre il Muro

 

OLTRE IL MURO è un’idea che nasce dalla necessità di abbattere l’ombra che ricopre, come una condanna, vicoli e vie del centro storico esclusi dagli itinerari ufficiali del turismo e della movida tarantina.

Nasce dall’autodeterminazione e dal consenso degli abitanti delle zone in cui gli artist* intervengono. Dalla scelta politica di non attendere e non delegare. Dalla necessità di sottrarre spazi all’abbandono e corpi all’emarginazione.

OLTRE IL MURO vogliamo spingerci perché questo è un muro nei nostri cuori e sui nostri corpi.

Gli artist* che hanno aderito al progetto hanno lasciato una traccia di sé, questa volta in via Paisiello dove è assente ogni tipo di attività, dove insistono numerosi B&B; dove il numero di porte murate è davvero imbarazzante.

All’asettico grigio di queste, ben venga il colore a colpire i tufi senza valore, donando loro espressione e sorpresa a chi li incontra.

L’iniziativa è stata per noi un esempio di buone pratiche sociali in termini di collaborazione con gli abitanti, pulizia di via Paisiello dai cumuli di rifiuti, ingombranti, erbacce e amianto, affinità con gli e le artist*, confronto e socialità per un’ecologia delle relazioni.

La giornata ha poi attirato un discreto numero di curios*.

Questi interventi artistici possono scaturire curiosità, passeggio o dare un attimo di luce nuova ad angoli abituati a restare in ombra? Non ci dispiacerebbe assolutamente, siamo per un turismo sostenibile e rispettoso, fuori però dalle dinamiche del turismo di massa.

Questi interventi possono scaturire, certo, varie reazioni o critiche. Ci arricchiremo di esse, accettando quelle fatte con cognizione di causa e ignorando quelle dettate da sterili posizioni fuori luogo di ignoti difensori di non sappiamo cosa! Infine invitiamo chi interessat* ai processi sociali dal basso ad affacciarsi in città vecchia presso il Comitato.

A presto … OLTRE IL MURO!

CONTRO DEGRADO E ABBANDONO: AUTORGANIZZAZIONE, IMPEGNO E CREATIVITÀ

 

Il contesto

La città vecchia, come già ampiamente documentato, versa ancora in uno stato di degrado e abbandono che non troverà fine fino a quando spereremo che le istituzioni si interessino alla vivibilità degli abitanti del quartiere.
L’obbiettivo scientificamente provato, è quello di renderla quanto più invivibile possibile, cercando comunque di mantenere una ‘faccia pulita’. Ed è per questo che le vie del passeggio sono sempre le più accoglienti, per permettere al comune di descriversi come interessato, ma nei fatti il suo interesse non è  quello di accudire il quartiere, ma sperare che il degrado, l’abbandono e i vicoli  chiusi possano fare defluire via quanti più autoctoni possibili, per lasciare che  la speculazione, sotto le vesti di gentrificazione, possa sguazzare liberamente  nei vicoli. Solo così si possono spiegare decenni di indifferenza verso alcune vie che mai sono state interessate da una bonifica di ‘salubrità’ eliminando  l’immondizia e ridandole alla fruibilità della popolazione autoctona e non. Non  riusciamo diversamente a spiegarci il rischio che si corre nel lasciare che la  turistificazione possa indignarsi girando per un angolo buio, lasciando anche  solo per un momento la via illuminata da negozi, b&b e hotel.

Abbandono istituzionale e degrado funzionale

La scelta di collocare solo sei postazioni di cassonetti per i rifiuti in zone  peraltro difficilmente raggiungibili a piedi da chi magari deve addirittura salire  o scendere delle scale carico di immondizia va evidentemente in questa  direzione. La scelta di offrire le ‘case a un euro’ è un altra delle politiche  dell’apparenza, non racconta infatti il titolone ‘case ad un euro’ che per vincere  tali bandi devi avere un patrimonio da spendere in tempi brevi per la  ristrutturazione di interi palazzi e viene anche taciuto che il bando ha   referenze  verso chi ha un capitale cospicuo dimostrabile.

Autorganizzazione sociale e creatività

Contro questa tendenza che sradica le tradizioni e la cultura locale,   l’autorganizzazione sociale può resistere ed è per questo che il Comitato Città  Vecchia, Stencil Noire e Ras organizzano una giornata di socializzazione in cui  vari artisti provenienti da tutta la Puglia dipingeranno le porte murate della  parte abbandonata di via Paisiello, un tentativo di offrire prospettive innovative  e differenti che possano ridisegnare e ricolorare, il degrado  istituzionale, con tinte accese, dettate dalla creatività e da quei contenuti che  mediante l’arte si vuole veicolare.

‘Seminiamo’ l’autorganizzazione sociale

La nostra linea politica è marcatamente antimachista, antisessista e antiomotransfobica, riconosciamo in queste tre categorie (machismo,  sessismo e omotransfobia) una serie di elementi culturali che hanno permesso  al potere di degenerare fino a smettere di occuparsi dei bisogni  della gente per tutelare solo gli interessi degli accaparratori sociali, vorremmo  che questa giornata possa rappresentare un punto di svolta per l’intera città,  che possa essere vista e vissuta da chiunque abbia a cuore questo territorio e  volesse dal basso provare a ridargli quello smalto che l’inquinamento ha ingrigito.

Un piccolo contributo

Per questo vi chiediamo di contribuire alle spese che la giornata prevede attraverso questi salvadanai e per questo vi invitiamo a presenziare domenica  29 ottobre 2023 alla realizzazione degli interventi artistici che saranno capaci  i riaccendere l’immaginario di chi li attraverserà. Vi aspettiamo dalle ore 09.00 in via Paisiello, Città Vecchia, Taranto.

OLTRE IL MURO, AUTORGANIZZIAMO IL NOSTRO FUTURO!

COMITATO CITTA’ VECCHIA
Arco Paisiello 18, Taranto
comitatocittavecchia.noblogs.org
comitatocittavecchia@protonmail.com
fb: Comitato Città Vecchia

 

 

TARANTO: LA PANDEMIA PERENNE

Nelle giornate di carnevale è tradizione, tramite l’arte delle maschere, irridere il potere costituito mostrando tutte le contraddizioni e le ipocrisie delle politiche intraprese.

Mai come quest anno, il carnevale ci è sembrato il momento idoneo per ribadire che la salute di Taranto è stata sempre messa all’ultimo posto da qualunque amministrazione: locale, regionale, nazionale o trans-nazionale.

In questi due anni abbiamo visto la politica dei palazzi rincorrere la gravosa situazione sanitaria a suon di DPCM sempre più repressivi e divisivi, sempre meno utili ad arginare davvero il fenomeno.

Ma, al di là della nostra opinione sulle politiche di gestione dell’emergenza, siamo convinti che chiunque viva questo territorio si sia chiest* almeno una volta dove fosse tutta questa attenzione alla salute della popolazione tarantina.

Dove è stata, e dove ancora è, tutta questa attenzione, quando la diossina entra nel latte materno, quando l’ inquinamento delle industrie pesanti e della Marina Militare condanna la nostra città a malattie genotipiche, quando i nostri infanti di 7 anni e anche meno si ammalano di tumore come fossero fumatori incalliti?

Dove è la coerenza quando si continuano a condannare interi settori economici c.d. “non produttivi” al collasso per il virus invisibile del capitalismo, mentre le morti oggettive e documentate di questa città spingono al massimo il Clini di turno, a dire che suo nipote non l’avrebbe mai fatto crescere qui?

E ancora, dov’è questa coerenza quando gli spazi anche di socialità ci vengono sottratti dall’inquinamento? Dove è quando ai Tamburi nei maledettissimi Wind days viene proibito anche solo di passeggiare nei parchi o andare a scuola?

Con questo carro, con un’allegoria abbastanza evidente, vogliamo entrare nella contraddizione totale che c’è stata, e ancora persiste, tra la gestione dell’ emergenza pandemica e la gestione della quotidianità negata ai Tarantini.

Abbiamo scelto una bambina e non l’abbiamo fatto a caso.

Per noi la rivoluzione serve, è quanto mai indispensabile. E o sarà femminista, o non sarà.

Abbiamo scelto una bambina che nel nostro immaginario sovrasta completamente lo stabilimento perché le future generazioni si assumeranno il compito di tappare quelle ciminiere e lo faranno in maniera transfemmimista senza fobismi culturali, senza paura e senza ipocrisia.

Noi quel giorno vorremno esserci, e se saremo ancora qui, saremo accanto alle bambine e ai bambini di Taranto; saremo accanto agli/lle adolescenti e a tutt* quell* che sono stanchi di vedersi costretti a fuggire da questa terra perché è stata sacrificata alle logiche del profitto.

Noi quel giorno ci saremo e vi renderemo il conto salatissimo per come ci avete condannato.

Tanto salato quanto il secolo inquinato a cui ci avete relegato.

E sciolgeremo le redini, spezzeremo le catene, alzeremo al cielo i nostri bambini e le nostre bambine e voi, voi che ci governate, voi che ridete con i Riva per le morti di tumore, voi… ecco, voi sperate di non esserci.

Perché è vero, a carnevale ogni scherzo vale, ma in una rivoluzione, non si scherza. Con la vita non si scherza.

Nel frattempo costruiamo insieme le condizioni, affinché, quando il momento sarà propizio… UNA RISATA VI SEPPELLIRÀ!

 

 

 

La vocazione

La Grammella (grammèdde, in dialetto tarantino) è un coltellino che serve per aprire le valve delle cozze. Grammella e cozza sono un simbolo della cultura tarantina, un po meno lo è il limone che comunque cresceva rigoglioso intorno al mar Piccolo. Ma ciò che rappresenta, ancora più, questa città, è il mare con i suoi due mari, isole e isolotti, con i suoi piaceri e dolori, la sua luce e la sua ombra.

Per decenni la città di Taranto è stata definita a ‘vocazione’ industriale. Il Boom economico ormai latitante da alcuni decenni ha lasciato sul terreno speranze, ambizioni, partenze, addii, malattie, sofferenze e sacrifici. La promessa del progresso, del miglioramento delle proprie condizioni riscattandosi col lavoro, l’ascesa sociale ed economica delle nuove famiglie risorte dalle ceneri delle guerre mondiali, lasciano il posto oggi a delusioni, sfruttamento, abbandono e rassegnazione.

L’acciaio ha temprato le anime ma, scalfito, fino alla morte, i corpi.

Decenni di dipendenza di questa città, dalle dinamiche finanziarie dell’impresa siderurgica (statale e poi privata e poi ancora statale) e suo indotto, ha sancito per troppo tempo una saldatura tra questa terra e l’acciaio. Una dipendenza deviata e deviante che ancora paghiamo e che i più giovani continuano a pagare ancora oggi e chissà per quanto. L’industria che tuttx vedevano come la soluzione alla fame, alla mediocrità, alla provincialità, all’ignoranza, ha fatto studiare i figli degli operai ma privandoli dei proprx carx, dei propri genitori, sacrificatx sull’altare del lavoro, a scapito della salute e della vita, purtroppo.

Questa dipendenza condiziona tutt’oggi le scelte dei cittadini, dei lavoratori e degli studenti che emigrano, dei malati che viaggiano al nord per curarsi, di interi nuclei familiari sdradicati dalle loro case ed affetti. Da decenni questa storia va avanti e quanto ancora dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alle vere e reali vocazioni di questa terra!? Per quanto ancora intendiamo subire malattie e morte per pochi spicci?! Per quanto ancora permetteremo ad uno Stato che, con le sue leggi e con un’ostinata politica finanziaria ed economica, depreda e deprava e condanna Taranto a morte!!!

Nei testi storici ci descrivevano il mar Piccolo come un giardino vasto e vario di fiori e frutti, un paradiso che si estendeva al mare, con le sue acque limpide e ricche di pesci e frutti di mare. Nei testi del passato si parla di una città vecchia ricca di vita e socialità, di amore e solidarietà, di cultura e dignità. Ma c’è tanto anche sulla nascita della stazione, dei mutamenti dovuti all’unificazione dell’Italia, dell’arrivo dell’Arsenale Militare, dell’espansione e della cementificazione della città, la nascita del polo siderurgico. Molti sono i testi che riguardano la vita economica e sociale e culturale di Taranto, ma oggi è necessario costruire il nostro immaginario e scrivere la sorti della città!

Lì dove i nostri vecchi slogan ‘Università, Pesca e Turismo’ sono stati fraintesi, abusati e ridotti a mercificazione e sfruttamento del territorio e dei nostri corpi, riportiamo, con rispetto, il nostro sguardo al mare, la vera vocazione di questa terra.

Perchè il mare può darci ancora, se lo vogliamo noi come comunità, ‘pesca, università e turismo sostenibili’.

” Dove andiamo? Sempre a casa. Ma io, come sarei potuto tornare a casa se non per il tramite del mare?”

Salvatore De Rosa

COMITATO CITTA’ VECCHIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Decoro e Monnezza

Decoro e Monnezza
I gabbiani, ieri, volavano sui mari, inseguivano i pescherecci. Erano forti, sani e planavano in cieli tersi.

Probabilmente l’unico aspetto positivo delle restrizioni, durante la prima ondata di contagio da covid, è stato la riappropriazione da parte della natura degli spazi lasciati dall’essere umano, quest’ultimo costretto a provare la cattività, che solo i detenuti nelle carceri conoscono.
Durante quei duri e lunghi mesi, la vegetazione, gli animali, danno vita a quelle strade, quei campi, quei cieli, che l’essere umano ingombra invece senza rispetto. All’ingombro segue l’inquinamento, il degrado ambientale, la strage infinita di piante ed animali e territori per soddisfare la fame umana di conquista e distruzione, dominio e possessione.
L’umano non ha imparato nulla, neanche stavolta. Testardamente siamo tornati a invadere il mondo con la nostra rumorosa e devastante arroganza. La finanza, le politiche economiche ed estrattive incrementano i loro capitali per distruggerlo in nome di un profitto sempre maggiore, per detenere un potere schiacciante che non rispetta né la natura, né la vita umana stessa, mettendo a rischio, per sua logica distruttiva e cieca, la vita di tuttx e tutto.
Ma ciò non scoraggia chi ha preso coscienza della letale invadenza umana e delle mortali politiche capitalistiche e decide di invertire, anche se nel suo piccolo, la rotta. Abbiamo visto in mezzo secolo e più, grandi battaglie per l’ambiente, timide ‘svolte’ industriali sedicenti sostenibili e ‘green’, abbiamo imparato a riciclare, forse, ma il mondo va verso un continuo degrado, ma nonostante tutto i fiori continuano a sbocciare.
Il degrado ambientale dovrebbe essere a cuore di tuttx e, non meno, a cuore delle scelte politiche, che invece restano deboli e fatte da ipocriti politicanti asserviti alle industrie e alle multinazionali.
E’ invece il ‘degrado’ sociale e culturale il protagonista delle scene mediatiche, che scandalizza il benpensante, un degrado su cui il politico e il faccendiere specula e lucra.
Abbandono, abusivismo, analfabetizzazione crescente, povertà, criminalità spicciola sono problemi che si pensa risolvere con il controllo e la repressione.
Il decoro che una società borghese esige è un decoro che vede strade linde e sicure, centri storici trasformati in salotti. E’ un decoro che non accetta vedere la povertà e le conseguenze di decenni d’abbandono, non accetta la diversità, ma pretende omologazione e rispetto di una sorta di moralità o di una legalità che altro non è che la garanzia dei privilegi borghesi a scapito della cultura popolare con tutte le sue disgrazie e ricchezze.
Ecco che ci si scandalizza alla vista di cumuli di rifiuti, che la gente lascia nei vicoli del centro storico, così come nei quartieri, soprattutto periferici. La raccolta differenziata, imposta da un giorno all’altro e senza un’effettiva comprensione da parte degli abitanti, scaturisce come risposta un maggior accumulo di rifiuti nei posti lì dove prima c’erano i soliti cassonetti, crea scontento in quanto le nuove campane sembrano essere poche per raccogliere i rifiuti urbani del quartiere e non tutti sono ufficialmente residenti, quindi non tutti hanno la possibilità di richiedere la tessera per l’utilizzo delle campane digitalizzate, con conseguente abbandono dei rifiuti nei vicoli. L’amministrazione comunale, a parte la distribuzione di un opuscolo sulla differenziata e un video spot uscito tardi in tv, è stata carente nell’informazione e formazione dei cittadini riguardo la differenziata e i suoi scopi, tra cui il riciclo. Ma i cittadini restano altrettanto all’oscuro, rispetto la fine di questi rifiuti e del loro effettivo riciclo e da parte di chi e per quali produzioni. Poco si sa o quasi nulla…dove finiscono i nostri rifiuti?
Intanto l’accumulo di rifiuti tra i vicoli favorisce situazioni igieniche precarie, con la presenza di topi e insetti, veicoli di batteri e virus. Ma quando i quartieri sono lasciati a sé per decenni da uno Stato assente, o lì dove lo spirito di comunità e condivisione tra abitanti è quotidianamente smantellato dalle dinamiche sociali di precarietà, come si pretende che lo stesso essere umano non sia esso stesso emarginato, in termini sociali, culturali, relazionali,  occupazionali…!? Un corpo sfruttato ed abusato senza possibilità di scelta e di costruzione di un presente (altro che futuro) meno precario, in una continua
lotta per la sopravvivenza, costretto alla guerra tra poveri.
Il ‘decoro’, se non affrontiamo le cause del degrado umano, diventa una parola al servizio del potere per nascondere le diversità, le vergogne, per ‘sconfiggere la povertà’. Puntiamo il dito verso chi abbandona la busta di rifiuti per strada, assecondando una guerra tra poveri, ostilità sociale e umanità differenziata. A tali fini nascono i Decreti Sicurezza, ma sicurezza per chi?…per gli stessi che vogliono accomodarsi nel salotto buono senza sentire il feto del lerciume nascosto sotto il tappeto costoso.
L’immondizia per le strade è poca cosa difronte le discariche a cielo aperto dei nostri territori, bancomat delle malavite e dei politici servili a queste dinamiche. Il degrado è scegliere il profitto a scapito della salute, della sanità ambientale e alimentare. Sono le grandi industrie che uccidono con le morti bianche, con i licenziamenti, con i disastri ambientali, con i tumori. Il degrado sono le amministrazioni quando acconsentono a trattamenti di favore, rilasciano concessioni facili, commettono abusi d’ufficio, si lasciano corrompere, ecc, per soldi o voti, in connivenza con le malavite, che poi le ritroviamo spesso a gestire discariche e riciclo.
Non accettiamo il significato che questa società dà al decoro, alla legalità, alla sicurezza, alla gentrificazione e turistificazione. Sono termini lesivi della dignità umana e della cultura popolare quando assoggettati alle politiche neoliberali e progressiste dei governi.
Auspichiamo e fomentiamo l’autorganizzazione tra gli abitanti dei quartieri, una comunità che sceglie insieme di migliorare le proprie condizioni con metodi e pratiche orizzontali ed eque, senza delega, né timore di scontrarsi con le logiche di ‘cambiamento’ o ‘riqualificazione’ o ‘rinascita’ di un amministrazione di facciata.

Oggi i gabbiani si spingono oltre le colline, nervosi si fiondano, ostili fra di loro, sui rifiuti delle discariche sempre più estese di queste terre. Oggi i gabbiani sono smunti e grigi, lontani dal mare.

COMITATO CITTA’ VECCHIA

Opere e Tarantelle

 

 

Opere e Tarantelle

‘Dopo tanti anni dall’abbandono dello stabile, in cui visse il compositore tarantino Giovanni Paisiello, sembra sia iniziata una politica comunale di recupero dello stesso, denominato ‘Casa Paisiello’. Un progetto cofinanziato dalla Regione Puglia e dal Comune di Taranto con un importo di 800mila euro …’

Questo scrivevamo ben tre anni fa!

La realizzazione del progetto (casa-museo e caffetteria) era prevista in 270 giorni, iniziando dal 12 novembre 2020, non sappiamo con che tipo d’intervallo!? … forse i 270 giorni sono distribuiti sull’arco di dieci anni? … non siamo tenuti a saperlo, in quanto comunicazioni alla città a riguardo non ne esistono. I cartelli tecnici riportano le stesse informazioni di tre anni fa e i lavori sono a singhiozzo e quasi bisogna essere fortunati per vedere il cantiere all’opera!

Intanto, negli ultimi decenni, da Urban e Urban II, passando per le varie speculazioni seguite negli anni, fino al ‘progetto case a 1 euro’ e alla ‘Semina della rinascita’, continuiamo a essere spettatori di un costante impoverimento del patrimonio sociale. Nel centro storico, a fronte di una popolazione resistente che tramanda con difficoltà le sue usanze, conoscenze e storie, stiamo subendo un’omologazione sociale a scapito di una cultura popolare che caratterizzava il centro storico, una continua speculazione sul patrimonio pubblico e culturale e il continuo tentativo di trasformare il centro storico, un tempo vero cuore pulsante della città, in una vetrina per turisti o in un salotto per ricchi.

Gli esempi delle politiche di recupero del recente passato, riqualificazione o qualsivoglia rigenerazione dei centri storici ci restituiscono l’immagine di centri omologati, nei quali non è prevista la povertà, la diversità, dove vige una sorta di ‘legalità’. Una società che si ‘rispetti’ non deve mostrare le sue miserie, viene da sé che il decoro sia imposto con il controllo, la repressione e l’emarginazione. La lotta all’abusivismo e all’accattonaggio è solo l’inizio di una scelta politica che punta ad attrarre investimenti sul territorio, senza tener conto del fattore umano e sociale. A livello nazionale poi, i Decreti Sicurezza (Minniti, Salvini, Renzi, La Morgese) hanno reso più precarie e più condannabili grosse fasce sociali che vivono al livello di sopravvivenza, per le quali un lavoro in nero o l’occupazione di una casa costituiscono una necessità vitale.

‘Legalità’ e ‘Sicurezza’, in un contesto di fermento culturale o turistico, significano sorveglianza in presenza o tramite dispositivi, in difesa, non tanto della quiete pubblica, quanto della proprietà privata. L’insistente richiesta di ‘Sicurezza’ permette a strati sociali più agiati di poter vivere un centro storico ‘decoroso e sicuro’. Questo in sintesi porta ad una graduale e sostanziale sostituzione della popolazione con relativo bagaglio socio-culturale. Ciò vuol dire Gentrificazione.

E’ il primo passo per permettere a un centro storico di accogliere i/le turist*. Quando la volontà politica, gli investimenti e il marketing funzionano, un luogo, fino a ieri relegato all’indifferenza, conosce il fenomeno del turismo col rischio di bruciarsi in breve tempo se non è pronto e preparato ad accogliere il/la turist*, oppure, se non è un turismo sostenibile, rischia di sfociare in un turismo di massa, in cui la macchina turistica, una volta azionata, modifica il tessuto socio-economico e aspetto ambientale in maniera importante, lasciandoci vuoti e asettici souvenir.

Questo processo è indicato col termine Turistificazione.

Poi, in uno scenario di inefficacia delle le politiche culturali, che lasciano in abbandono e inattività il ricco patrimonio storico della città tutta, in uno scenario di inefficacia sociale delle politiche abitative comunali, in cui si sceglie di deresponsabilizzarsi, cedendo le residenze popolari alle banche con le conseguenti aste e sfratti, in cui si sceglie di fare promozioni farlocche al pubblico e al privato senza grandi risultati; in uno scenario in cui predomina l’assenza di una reale politica sociale che parli ai quartieri, alle loro esigenze e l’assenza di risposte alla disoccupazione dilaniante e alla destrutturazione della sanità e scuola pubblica, è davvero imbarazzante l’attenzione e la cura che le istituzioni riservano al turismo, all’industria e al business in generale, il quale resta in poche tasche e non ritorna a migliorare i servizi e i beni pubblici.

Noi immaginiamo invece una città e un centro storico capaci, nel proprio rispetto, di attrarre per il proprio patrimonio artistico e per la propria bellezza, senza cancellare l’aspetto popolare che caratterizza tutti i quartieri della città. Bellezza e potenzialità che l’impianto siderurgico, i vari impianti industriali e portuali e la marina militare hanno da sempre offuscato e soffocato.

Noi restiamo fermi sull’idea che costruire Autorganizzazione nei quartieri debba essere la risposta naturale alla carenze e alle assenze delle amministrazioni ed essere una proposta di cambiamento radicale.

L’Autorganizzazione ha pratiche orizzontali, dal basso, che sussistono sulla condivisione e il confronto per creare una comunità autodeterminata, che superi la delega e la figura del leader, che sposi metodi e pratiche egualitarie e solidali, che sia capace di riappropriarsi dei propri spazi vitali.

Giovanni Paisiello è un esempio di genialità artistica locale, conosciuta in tutto il mondo. Non condividiamo assolutamente le mistificazioni, ma vogliamo, con questo intervento, fare riferimento alle tante genialità, potenzialità, di ogni tipo, che oggi sono in affanno o alle tante altre che sono state e sono costrette a migrare lontano, in quanto da decenni questa città è stata sacrificata sotto l’altare della ‘vocazione’ industriale e militare.

L’opera de ‘Il barbiere di Siviglia’,composta da Paisiello, è nota grazie al successo di Gioacchino Rossini, prima di allora era rimasta pressoché in ombra. Taranto continua ad essere una città in ombra. Avremo pur una possibilità di vivere di altro che non sia ancora speculazione, acciaio e polvere? O qui la musica non cambia?