La vocazione

La Grammella (grammèdde, in dialetto tarantino) è un coltellino che serve per aprire le valve delle cozze. Grammella e cozza sono un simbolo della cultura tarantina, un po meno lo è il limone che comunque cresceva rigoglioso intorno al mar Piccolo. Ma ciò che rappresenta, ancora più, questa città, è il mare con i suoi due mari, isole e isolotti, con i suoi piaceri e dolori, la sua luce e la sua ombra.

Per decenni la città di Taranto è stata definita a ‘vocazione’ industriale. Il Boom economico ormai latitante da alcuni decenni ha lasciato sul terreno speranze, ambizioni, partenze, addii, malattie, sofferenze e sacrifici. La promessa del progresso, del miglioramento delle proprie condizioni riscattandosi col lavoro, l’ascesa sociale ed economica delle nuove famiglie risorte dalle ceneri delle guerre mondiali, lasciano il posto oggi a delusioni, sfruttamento, abbandono e rassegnazione.

L’acciaio ha temprato le anime ma, scalfito, fino alla morte, i corpi.

Decenni di dipendenza di questa città, dalle dinamiche finanziarie dell’impresa siderurgica (statale e poi privata e poi ancora statale) e suo indotto, ha sancito per troppo tempo una saldatura tra questa terra e l’acciaio. Una dipendenza deviata e deviante che ancora paghiamo e che i più giovani continuano a pagare ancora oggi e chissà per quanto. L’industria che tuttx vedevano come la soluzione alla fame, alla mediocrità, alla provincialità, all’ignoranza, ha fatto studiare i figli degli operai ma privandoli dei proprx carx, dei propri genitori, sacrificatx sull’altare del lavoro, a scapito della salute e della vita, purtroppo.

Questa dipendenza condiziona tutt’oggi le scelte dei cittadini, dei lavoratori e degli studenti che emigrano, dei malati che viaggiano al nord per curarsi, di interi nuclei familiari sdradicati dalle loro case ed affetti. Da decenni questa storia va avanti e quanto ancora dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alle vere e reali vocazioni di questa terra!? Per quanto ancora intendiamo subire malattie e morte per pochi spicci?! Per quanto ancora permetteremo ad uno Stato che, con le sue leggi e con un’ostinata politica finanziaria ed economica, depreda e deprava e condanna Taranto a morte!!!

Nei testi storici ci descrivevano il mar Piccolo come un giardino vasto e vario di fiori e frutti, un paradiso che si estendeva al mare, con le sue acque limpide e ricche di pesci e frutti di mare. Nei testi del passato si parla di una città vecchia ricca di vita e socialità, di amore e solidarietà, di cultura e dignità. Ma c’è tanto anche sulla nascita della stazione, dei mutamenti dovuti all’unificazione dell’Italia, dell’arrivo dell’Arsenale Militare, dell’espansione e della cementificazione della città, la nascita del polo siderurgico. Molti sono i testi che riguardano la vita economica e sociale e culturale di Taranto, ma oggi è necessario costruire il nostro immaginario e scrivere la sorti della città!

Lì dove i nostri vecchi slogan ‘Università, Pesca e Turismo’ sono stati fraintesi, abusati e ridotti a mercificazione e sfruttamento del territorio e dei nostri corpi, riportiamo, con rispetto, il nostro sguardo al mare, la vera vocazione di questa terra.

Perchè il mare può darci ancora, se lo vogliamo noi come comunità, ‘pesca, università e turismo sostenibili’.

” Dove andiamo? Sempre a casa. Ma io, come sarei potuto tornare a casa se non per il tramite del mare?”

Salvatore De Rosa

COMITATO CITTA’ VECCHIA